CONOSCERE VERDE

La curiosità e il piacere di vivere la natura ci inducono a raggiungere parchi e giardini, spazi che possono essere compresi solo se attraversati. Si sviluppa la necessità di camminare nel verde per osservare l’essenza che anima lo spazio vegetato, inseguendo le traiettorie fisiche e le relazioni estetiche che lo legano al paesaggio in cui è immerso. Anche le parole sono strumenti meravigliosi per introdurci nella natura: spesso il giardino si esplora leggendo un libro, è anticipato dalla scrittura. Foglio, pagina, libro sono i termini che legano con forza creativa il mondo vegetale alla letteratura.


1. Gli orti in città

2. La dimensione ecologica e culturale dell’orto-giardino

3. L’orto nel processo storico di formazione del paesaggio urbano italiano

1. Gli orti in città

Per sostenere una politica ambientale di diffusione degli orti urbani riteniamo sia necessaria una progettazione del verde che, per le piccole come per le grandi città, possa indicare una strategia complessiva, un programma di interventi in grado di operare dinamicamente ad una scala locale, più puntuale e economicamente attenta, assicurando una qualità diffusa delle opere che le renda accessibili ai più. Deve essere una progettazione, però, che non si lasci troppo sedurre dagli echi della Land art o dalle derive pauperistiche legate ad una concezione ideologica postmoderna della coltivazione. L’obiettivo rimane quello di elaborare un progetto adeguato nella forma e vantaggioso per quanto riguarda i costi di realizzazione e possibile per ciò che concerne la gestione.

La tangenziale dismessa

Tratto della tangenziale in dismissione

Di recente un famoso studio di architettura ha presentato un progetto ambizioso che prevede la realizzazione di una serie di appezzamenti orticoli e di giardini da realizzare lungo il percorso di un tratto della tangenziale di Roma da poco dismesso in virtù della contemporanea apertura di un tunnel che lo sostituisce nelle funzioni di collegamento automobilistico. Si intende così eliminare il forte e negativo impatto che la struttura causava sul territorio circostante. In alternativa alla demolizione si è valutata la possibilità di un suo riutilizzo: lo studio di architettura ha elaborato in proposito una ipotesi progettuale che risente degli influssi internazionali, in particolare della esperienza di trasformazione di una ferrovia sopraelevata di New York in disuso, la High Line, in un parco pensile lungo più di un chilometro.

Nel nostro caso si è proposta la realizzazione di un parco lineare articolato in una successione di orti, frutteti e spazi attrezzati in grado di ricucire gli strappi operati nel tessuto urbano dalla realizzazione dei sistemi infrastrutturali che attraversano quel brano di città.

Orti in città

Orti in città

Pur non considerando le attuali difficoltà finanziarie e politiche dell’amministrazione capitolina, spesso non in grado di offrire ai propri cittadini una qualità accettabile della manutenzione del verde pubblico, bisogna comunque rilevare che il progetto, per la sua completa realizzazione, richiede un forte investimento iniziale e una decisa volontà amministrativa nella successiva gestione.

I ceti politici che finora hanno governato il Comune di Roma Capitale hanno mostrato evidenti difficoltà strategiche di medio-lungo periodo che ne limitano le capacità di realizzare operazioni urbanistiche di un certo spessore. Finora non si è manifestato da parte del mondo politico capitolino un interesse, né una idea specifica per la riconversione di questa imponente opera oramai obsoleta in un piano urbanistico di ampio respiro.

Progetti di questo tipo emanano inizialmente un indiscusso fascino che si riverbera sulla opinione pubblica e sui media grazie alla loro carica utopica. La narrazione architettonica con cui sono presentati nasconde però un tentativo edonistico di affrontare la materia senza risolvere i nodi di fondo che impediscono l’equilibrato e pieno sviluppo delle esperienze locali: in concreto gli orticoltori hanno bisogno più prosaicamente di acqua, fertilizzante naturale, di nuova terra da coltivare! Sarebbe invece necessario intervenire cercando di preservare e tutelare tutti quegli spazi che già svolgono, oppure hanno svolto nel recente passato, questa funzione e che ora sono minacciati dall’incuria o da maldestri e incontrollati cambi di uso, avviati con il solo scopo di trasformare il verde privato residenziale in garage e parcheggi, oppure usati per realizzare abusivamente ulteriori manufatti edilizi.

Vaste aree della fascia suburbana della Capitale sono costituite da piccoli edifici e palazzine dotate di orti–giardino impiantati, a partire dai primi decenni del novecento, dai residenti-costruttori provenienti, nella maggior parte dei casi, dalle aree rurali dell’Italia centrale e meridionale. E’ in atto una totale strisciante trasformazione urbana di questi ambiti che sta intaccando la specificità urbanistica del suburbio, sacrificando all’aggressione del cemento e al degrado l’importante valenza in termini ambientali, paesaggistici e sociali che questi luoghi possiedono.

Si dovrebbe incentivare economicamente, tramite detrazioni sulle tasse locali e/o altre leve fiscali, la persistenza e l’uso degli spazi verdi di pertinenza delle residenze private. Inoltre si rende necessaria l’approvazione di regolamenti del verde cittadino che obblighino i proprietari, in occasione di interventi e /o trasformazioni delle aree, a presentare specifici progetti elaborati da professionisti abilitati.

Terrazzi e cortili condominiali potrebbero essere utilizzati più proficuamente innestando un processo di riorganizzazione delle coltivazioni con impianti vegetali che possano integrare efficacemente le specie eduli con quelle prettamente ornamentali.

La città degli orti e dei giardini che andiamo a delineare nelle nostre riflessioni abbisogna di pazienza e attenzione, di un concreto sostegno, sia progettuale che economico, di programmi capillari di stimolo alla partecipazione dei residenti alla tutela del verde.

Orti in città

Orti in città

Contemporaneamente assistiamo con sempre maggiore frequenza alla realizzazione di spazi dedicati all’orticoltura, che pur osservati con affetto e di cui apprezziamo lo spirito e la passione, molto spesso si presentano come spazi tristemente desolati, vaghi e inaccessibili. Generalmente è l’approccio individualista e frammentario degli orticoltori che determina involontariamente la forma e l’essenza di questi agglomerati agricoli: a volte, però, la volontà dei realizzatori è quella di permeare lo spazio coltivato di uno spirito pauperista, capace di testimoniare con ostinata determinazione un approccio culturale parziale e di matrice ideologica.

Partendo dal caleidoscopico pulviscolo di esperienze condotte nel corso degli ultimi anni in modo disaggregato dagli orticoltori bisogna approdare, nel rispetto delle realtà in campo e con spirito di servizio, ad un progetto generale che sappia trasformare lo spontaneismo in capacità di diffusione e di organizzazione delle attività integrandolo in un programma di gestione e di valorizzazione del verde pubblico.

Le amministrazioni locali sono chiamate a integrare le energie dinamiche espresse dai movimenti e dalle esperienze di orticoltura urbana definendo una nuova strategia di gestione del verde pubblico intelligente, in grado di valorizzare le spinte volontaristiche dai cittadini, parte delle quali sono testimoniate dalla crescita consistente di aree dedicate alle attività orticole.

Nel panorama nazionale si delineano numerose esperienze di coltivazione in ambito urbano: le diverse tipologie di impianto che le caratterizzano sono generalmente omologate in una categoria, l’orto urbano, che non può comprendere appieno l’articolazione del fenomeno in termini sociali e agronomici; non permette di strutturare, con speranze di successo, l’azione di diffusione e di consolidamento degli spazi verdi dedicati a tale tipo di coltivazione.

L’omologazione tipologica contribuisce negativamente sull’effettiva capacità di penetrazione e di tenuta dei progetti nei differenti ambiti urbanistici, sociali e ambientali metropolitani in cui si intendono realizzare.

E’ invece necessario individuare con maggior precisione le diversità tipologiche, collocandole nei contesti appropriati e inserendole in una rete di relazioni sociali e di condizioni agronomiche e tecniche adeguate tali da assicurarne il successo e la loro persistenza nel tempo.

L’orto e le matrici paesaggistiche che da questo hanno origine devono essere opportunamente integrate nelle reti ecologiche individuate dai piani per lo sviluppo ecocompatibile del territorio di riferimento, pena la realizzazione di contesti ecologicamente autoreferenziati, realtà del tutto simili a navicelle vegetali aliene, prive della capacità omeostatica di porsi in equilibrio con l’ambiente circostante, affette da una fragilità biologica che richiede, per poter sopravvivere, di una elevata profusione di energie supplementari. Il dispendio di risorse è incompatibile con gli obiettivi di sostenibilità posti programmaticamente negli enunciati progettuali.

Smontando analiticamente l’unitarietà formale e funzionale che si attribuisce superficialmente al fenomeno degli orti urbani, potremo classificare le varie esperienze attualmente presenti in città nel modo che segue:

Gli orti rurali e/o produttivi sono rappresentati da orti produttivi impiantati in modo permanente in aree agricole della cerchia periubana della città. Costituiscono ancora un prezioso e insostituibile serbatoio alimentare per i mercati ortofrutticoli cittadini.

Orti rurali e o produttivi

Orti rurali e o produttivi

Ricostruzione dello stazzo

Orti rurali e o produttivi


Gli orti individuali sono quelle coltivazioni, nate in modo spontaneo per necessità e/o per occupare il tempo libero, sorte negli spazi non edificati disponibili, in luoghi la cui proprietà non è chiaramente manifesta, in aree in cui il possesso effettivo non è chiaro né è rivendicato da alcuno.

Sono realizzati in maniera autonoma, disaggregata, informale, lungo le sponde di fiumi e torrenti, ai lati dei corridoi ferroviari, ai margini di aree in passato occupate dalle coltivazioni agricole, in terreni a ridosso di aree industriali e commerciali abbandonate a seguito dia un diverso sviluppo territoriale delle attività economiche, negli spazi residuali, interstiziali, nascosti, occultati dallo sviluppo parziale della trama edilizia.

Le aree, occupate gradualmente nel corso del tempo, sono perimetrate da recinzioni di fortuna costituite da materiali diversi assemblati anche con ingegno e perizia, si presentano come improbabili e complessi patchwork di materiali obsoleti dismessi dalla popolazione.

A occuparsene sono in genere soggetti anziani, pensionati con scarse possibilità economiche e molto tempo libero in cui si manifesta la volontà di dare seguito ad una attività legata alla propria origine contadina.

Ad occuparsene sono in genere soggetti anziani, pensionati con scarse possibilità economiche e molto tempo libero in cui si manifesta la volontà di dare seguito ad una attività adeguata alla propria origine contadina.

Si pratica un’agricoltura tradizionale di fortuna che impiega acque d’irrigazione spesso non in linea coi necessari parametri sanitari e letame come fertilizzante; l’acqua ramata avvolge il tutto quale unico presidio anticrittogamico adottato. I fruttiferi, che sono in genere potati drasticamente ogni anno, assumono la caratteristica forma di sviluppo digitata, coi tronchi completamente bianchi per le irrorazioni di calce.

Orti individuali

Orti individuali

Orti individuali

Orti individuali


Gli orti comunitari sono invece spazi di coltivazione ottenuti dai cittadini associati in concessione dall’Ente locale oppure insistono su aree non edificate pubbliche e/o private occupate da comitati e gruppi con finalità di intervento dalla spiccata valenza politica e culturale. I partecipanti si dotano autonomamente di un regolamento interno oppure adottano quello richiesto dall’Ente locale proprietario delle aree.

Orti comunitari

Orti comunitari

Orti comunitari

Orti comunitari

Gli orti-giardino residenziali sono aree verdi di pertinenza delle edificazioni residenziali del tessuto urbano di tipo estensivo presenti in molti quartieri delle città che un tempo rappresentavano la fascia di passaggio tra la densità edilizia del tessuto urbano e la rarefazione insediativa della zone rurali e agricole del territorio circostante.

Orti-giardino residenziali

Orti-giardino residenziali

Orti-giardino residenziali

Orti-giardino residenziali

Se da una parte il movimento degli orti ha rappresentato un tentativo di risposta all’indifferenza e al degrado, alla mancanza di politiche adeguate, dall’altra rappresenta un settore minoritario e ideologizzato della cittadinanza. Dall’altra esiste già in molti settori della città un tessuto di orti-giardino che sta implodendo, modificando irrimediabilmente in senso negativo l’immagine storica, sociale e paesaggistica del territorio. Le cause di questo processo degenerativo possono essere ricondotte:


  • al dissolvimento dei legami culturali con i territori di provenienza
  • alla interruzione generazionale della trasmissione dei saperi
  • alle trasformazioni urbanistiche delle destinazioni d’uso

Tipologia di insediamentoOrti rurali e/o produttivi
Titolo di uso e/o di possesso delle aree di coltivazione Aree ad uso agricolo in ambito urbano.
Forme di conduzioneColtivazione orticole spesso associate a frutticoltura e allevamento di animali da cortile per il mercato cittadino e/o con vendita diretta presso la sede aziendale.
Criticità Delocalizzazione delle attività.
Trasformazione degli usi (garage, magazzino, ecc.).
Edificazioni e addizioni abusive.
Azioni Trasformazione dei metodi coltivazione.
Rispetto delle norme ambientali e sanitarie.
Incentivazione alla formazione dei gruppi di acquisto locali.
Sgravi fiscali e detrazioni delle tasse locali.

Tipologia di insediamentoOrti collettivi, solidali, sociali
Titolo di uso e/o di possesso delle aree di coltivazioneConcessione di terreni pubblici e/o demaniali.
Affitto di terreni privati.
Occupazione di aree private residuali, demaniali e/o pubbliche in forma organizzata.
Forme di conduzioneGestione in associazione con regolamento per l’assegnazione e la coltivazione delle parcelle di coltivazione.
Conduzione singola con forme comuni di regolamentazione oppure gestione in associazione con regolamento per l’assegnazione e la coltivazione.
Forme minime di organizzazione comune per la sorveglianza degli accessi alle aree di coltivazione, il mantenimento dei passaggi comuni, per l’uso dell’acqua e delle fonti energetiche, per lo smaltimento dei residui vegetali.
Comitati di gestione collettiva delle aree che propongono iniziative ed eventi di carattere sociale e politico legato a forme alternative di gestione della agricoltura e delle aree verdi pubbliche.
CriticitàBurocratizzazione dei rapporti tra gli orticultori.
Esiguità del numero e dell’estensione dei siti dedicati.
Mancanza di una regolamentazione delle attività.
AzioniAumento delle aree a disposizione per gli orticultori.
Sanatoria e stabilizzazione degli insediamenti spontanei.
Consulenza tecnico - agronomica.
Incentivazione della pratica con fornitura di materiali, sementi e attrezzature.
Forme di credito agevolato per acquisto di materiali, sementi e attrezzature.
Sgravi fiscali e detrazioni delle tasse locali per i locatari.
Adozione di forme di regolamentazione delle modalità di gestione e di coltivazione.
Rispetto delle norme ambientali e sanitarie.

Tipologia di insediamentoOrti-giardini residenziali
Titolo di uso e/o di possesso delle aree di coltivazione Aree verdi di pertinenza delle residenze private.
Forme di conduzioneOrti e giardini condotti dai proprietari o collettivamente dal condominio
CriticitàSemplificazione e degrado degli impianti vegetali.
Mancata trasmissione delle tecniche e dei programmi di coltivazione.
Trasformazione degli usi (garage, magazzino, ecc.).
Edificazioni e addizioni abusive.
Azioni Censimento e monitoraggio delle aree.
Sgravi fiscali e detrazioni delle tasse locali per i residenti.
Consulenza tecnico - agronomica.
Forme di credito agevolato per acquisto di materiali, sementi e attrezzature.

Tipologia di insediamentoOrti individuali
Titolo di uso e/o di possesso delle aree di coltivazione Occupazione di aree private residuali, demaniali e/o pubbliche in forma individuale e spontanea.
Forme di conduzioneOrti condotti direttamente dall’occupante/coltivatore.
CriticitàMancanza di una regolamentazione delle attività.
Semplificazione e degrado degli impianti vegetali.
Pratiche agronomiche e uso delle risorse con ricadute negative sull’ambiente.
Edificazioni e addizioni abusive.
Accumulo di RSU e rifiuti speciali.
Azioni Censimento.
Accertamento e verifica fattibilità permanenza nei siti.
Bando di assegnazione e/o ricollocazione in altri siti.
Bonifica dei siti.
grafico

Costruire il Giardino degli orti

Orti in città

Parco-campagna nel suburbio romano

Da quanto emerge dalla nostra analisi risulta evidente che la presenza degli orti, nell’accezione più ampia che comprende sia fondi di esclusiva funzione agricola sia quelli in cui permane una spiccata integrazione tra le specie eduli e quelle ornamentali, negli ambiti suburbani della Capitale, così come nella maggioranza delle realtà metropolitane nazionali, caratterizza ancora significativamente il paesaggio urbano.

Nella nostra riflessione, che attiene al valore urbanistico ed ecologica che esso occupa nel sistema del verde urbano, è evidente la mancanza di una strategia di reale integrazione funzionale e gestionale nel patrimonio ambientale di cui dispone la città.

La mancanza di rilievo che questa tipologia di verde assume nella considerazione generale ne inibisce uno sviluppo armonico e qualitativo, relegandola ai margini della progettazione urbanistica.

L’attuale difficoltà finanziaria in cui versa la maggior parte dei comuni italiani si riflette immediatamente nella cura e nella gestione del verde pubblico, settore che si preferisce penalizzare per non incidere sulle altre voci della spesa sociale.

Le estese ma anonime aree verdi della periferia sono trasformate progettualmente nel Parco-campagna, sorta di compromesso tra l’incolto e il giardino attrezzato, connubio con esiti paesaggistici nefasti. Ripensare in un momento di crisi la gestione di queste aree, consistenti numericamente, permetterebbe di definire una nuova forma del verde suburbano in cui la presenza degli orti potrebbe divenire il perno di una nuova organizzazione degli spazi che possa contare sulla spinta partecipativa espressa dai cittadini, testimoniata dal gran numero di appezzamenti dedicati alla coltivazioni orticole che sorgono continuamente, in maniera organizzata oppure spontanea, in città.

Orti in città

Orti comuni nel Parco Palatucci di Roma

I progettisti (architetti, paesaggisti, agronomi, agrotecnici, ecc.) devono impegnarsi a definire un progetto del verde urbano che sappia cogliere a pieno queste istanze: le aree dedicate agli orti devono essere inserite in un sistema che sia capace di offrire agli utenti spazi attrezzati in grado di aprirsi alla gestione diffusa del verde, all’autorganizzazione di attività sociali legate al mondo dei vegetali (gruppi di acquisto solidale, mercati agroalimentari di coltivazione biologica, corsi e seminari, eventi collettivi, ecc.), alla offerta di aree ludico – ricreative articolate per bisogni e per età dei fruitori (campi da gioco, parchi Robinson, percorsi natura, ecc.). Creare un vero parco in cui i vari elementi concorrano a definirne il carattere, la personalità: la sua riconoscibilità formale deve stimolare l’utenza a soddisfare i propri bisogni di socialità all’aria aperta favorendo la partecipazione alla gestione e alla programmazione delle attività manutentive, ludiche e culturali.

Creare un vero parco in cui i vari elementi concorrano a definirne il carattere, la personalità: la sua riconoscibilità formale deve stimolare l’utenza a soddisfare i propri bisogni di socialità all’aria aperta favorendo la partecipazione alla gestione e alla programmazione delle attività manutentive, ludiche e culturali.

Con ciò non vogliamo sostenere che tali complessi ambientali debbano essere affidati all’utenza, in forma singola e/o associata, ma che strutture tecniche delle amministrazioni locali, formate da personale giovane, preparato e motivato, debbano sovraintendere alla gestione complessiva in modo intelligentemente inclusivo. Al di là del fascino che possano evocare i grandi progetti che occupano grande spazio negli organi di informazione, c’è invece bisogno di una nuova stagione che sappia trasformare capillarmente la qualità ambientale di queste vaste estensioni di verde pubblico applicando metodo, creatività e ragionevolezza progettuale. Finora i segnali che vanno in questa direzione sono stati molto deboli ma non per questo bisogna abbandonare l’obiettivo di ripensare positivamente la politica d’intervento con cui riqualificare il verde urbano delle periferie metropolitane.

Gli orti urbani: il caso romano

A Roma gli orti, le pergole, le vigne e i giardini residenziali continuano a caratterizzare l’abitato compreso nella cinta delle Mura Aureliane fino alla seconda metà dell’ottocento. La raggiunta unità d’Italia determina un consistente arrivo di funzionari dell’apparato statale destinato alla neo capitale, producendo una forte richiesta di abitazioni che alimenta le mire speculative sulle aree verdi in possesso delle famiglie aristocratiche e possidenti. Si punta ad edificare presto ed intensamente allo scopo di ricavarne enormi guadagni: sulla spinta di questa inarrestabile e perversa dinamica, che culminerà nello scandalo della Banca Romana, gli orti avranno spazio solo al di là delle mura. Sulla scia di questo processo popolazioni migranti provenienti inizialmente dall’Italia centrale, come dal Veneto e dalla Romagna, si insedieranno nella fascia periurbana cittadina posta a ridosso della cinta muraria. La loro attività prevalente è legata alle pratiche agricole necessarie a fornire alimenti ai mercati cittadini. Grazie alla presenza di numerosi sorgenti e torrenti, noti come marrane, le coltivazioni intensive caratterizzano gli usi del suolo: si insediano numerosi gli orti e i frutteti.

L’edificazione di abitazioni rurali alimenta in ambito territoriale periurbano la diffusione degli orti–giardino Il fenomeno troverà nuovi protagonisti nel secondo dopoguerra grazie all’arrivo di genti dal meridione d’Italia, così come ci racconta Pasolini nei suoi romanzi.

Gli orti–giardino rappresentano la risultante di una dinamica complessa d’integrazione tra fattori ambientali e attività umane sedimentatesi nel corso del tempo che caratterizza il paesaggio. La sua sedimentazione nel tempo ha reso specifici, riconoscibili i luoghi, che però ora corrono un pericolo. Il pericolo è quello di essere trasformati silenziosamente in qualcos’altro, in un impasto di abusi edilizi, nuove funzionalità, degrado che colpisce proprio l’identità del territorio. Questa identità rimane l’unico valore condiviso in aree urbane abitate da strati consistenti della popolazione che, oltre a vivere con difficoltà la quotidianità, rischiano di perdere anche le proprie radici culturali profonde.

La trasformazione caotica e incosciente di ciò che rimane dell’Agro romano pone in pericolo il paesaggio, testimonianza esplicita di uno squilibrio sociale e urbanistico che può divenire irreversibile.

Le cause che generano tale fenomeno sono molteplici: la rottura dei vincoli familiari e la mancata trasmissione dei saperi contadini tra padri e figli, l’interruzione dei rapporti con le terre d’origine, con le culture contadine di partenza, l’abuso, il riutilizzo delle aree come parcheggi e rimesse per le auto.

Difendere il patrimonio verde di questi luoghi significa difendere il paesaggio e la vita delle popolazioni della periferia. Come attuare una politica di salvaguardia?

Attraverso il censimento e il monitoraggio di tali aree verdi; l’approvazione di regolamenti del verde che impediscano le trasformazioni senza un progetto elaborato da un tecnico abilitato; con stimoli di natura fiscale, quali sgravi sulla tassazione locale e contributi economici, per coloro che intendono preservare la natura di queste aree verdi; accompagnando l’azione dei residenti con strutture comunali formate da tecnici che siano in grado di fornire un efficace e concreto supporto alle attività colturali.

Impatto negativo degli orti sul paesaggio

Impatto negativo degli orti sul paesaggio

Nella carta interattiva che segue si è presa in considerazione una fetta consistente della periferia orientale romana che permette di cogliere immediatamente la estesa e forte persistenza di aree verdi dedicate alla coltivazione degli ortaggi. Le realtà indicate sono relative a coltivazioni effettuata in modo promiscuo, cioè nell’orto-giardino, e in coltura specializzata. L’indagine, condotta tra l’estate del 2014 e la primavera del 2016, non ha alcuna intenzione di essere esaustiva né rappresenta un censimento, seppur parziale, dello stato di fatto, compito che attiene ad altri soggetti qualificati sia del settore pubblico che di quello privato.

Ciò che interessa evidenziare è la permanenza significativa di questa tipologia del verde nella fascia suburbana della Capitale.

Gli orti indicati nella carta sorgono indistintamente in aree pubbliche come su appezzamenti privati, sono coltivate in forma individuale oppure associata, i cui coltivatori possiedono titoli di possesso e/o concessione oppure operano in modo arbitrario. Cliccando sui punti sensibili si avrà modo di osservare delle immagini relativi ai siti rilevati.

mappa dei punti di interesse
segue

2. La dimensione ecologica e culturale dell’orto-giardino

Nell’orto-giardino non esiste una rigida compartimentazione funzionale: i ciliegi in fiore in quale settore potrebbero essere altrimenti piantati? I trespoli di canne avvolti dalle volute dei fagioli, allo sbocciare dei fiori papilionacei, possono considerarsi folies collocate in giardino, oppure allestimenti di land art? E i fiori vermigli del noto albero, il melograno, verso cui si tendeva la pargoletta mano? Le bianche fioriture screziate di bruno delle fave possono accompagnare le infiorescenze dell’acanto lungo un declivio? Una bordura mista d iris e carciofi può delimitare una aiuola fiorita oppure perimetrare un campetto di lattughe?

Orti-giardino a Bagno Vignoni (Si)

Orto-giardino a Bagno Vignoni (Si)

Orti-giardino a Bagno Vignoni (Si)

Orto-giardino a Bagno Vignoni (Si)

Orti-giardino a Montepulciano (Si)

Orto-Giardino Montepulciano (Si)

Orti-giardino a Montepulciano (Si)

Orto-giardino a Montepulciano (Si)

La bellezza concorre ad alimentare il valore nutritivo delle ortaglie, dei frutti, delle vigne donando fragranza, equilibrio e colore ai cibi vegetali che coltiviamo; in una visione moderna, olistica del mondo naturale, ogni aspetto della vegetazione manifesta l’anima mundi che pervade ogni cosa, forza sconosciuta ma incombente che innerva tutto ciò che la natura ci offre e che, noi con pazienza e umiltà, dobbiamo imparare a coltivare nei nostri orti e giardini di città.

A questo punto bisogna procedere nel ragionamento provando a definire cos’è questa cosa che continuiamo a definire orto-giardino.

E’ utile cominciare con il raccogliere le definizioni che alcuni dizionari d’italiano dedicano alla voce orto.


òrto1 s. m. [lat. hortus]. – Piccolo o medio appezzamento di terreno, spesso adiacente alla casa (o. familiare), recintato da muro o da siepe, nel quale si coltivano erbaggi e piante da frutto: coltivare, zappare l’o.; piante da o. (v. ortense). In alcuni usi letter., e anche in qualche uso specifico, equivale, come già in lat., a giardino: Pietosa insania, che fa cari gli orti De’ suburbani avelli alle britanne Vergini (Foscolo, con riferimento ai cimiteri-giardini inglesi). In partic.: o. botanico, giardino, o campo, sperimentale, che racchiude una collezione di piante vive, indigene ed esotiche, disposte sistematicamente, o secondo criterî ecologici o geografici, e destinate a ricerche botaniche; o. chimico, campo agricolo artificiale, il cui fondo non è costituito da terreno agrario ma da roccia inerte coperta da sabbia, nel quale si semina e si irriga secondo i principî dell’idroponica. O. di Getsemani, o o. degli olivi, orto e bosco sul Monte degli olivi, fuori delle mura orient. di Gerusalemme, dove fu arrestato Gesù Cristo. Orti dei Rucellai, gli orti oricellarî (v. oricellario). Orti di guerra, durante la seconda guerra mondiale, i giardini, le aiuole, le zone di terreno incolto dentro i centri abitati, che erano adibiti alla produzione di ortaggi e grano.
Modi prov.: io sto coi frati e zappo l’o. (v. frate); coltivare il proprio o., pensare agli affari proprî, svolgere la propria ristretta attività (di solito in frasi con le quali si vuol significare che una persona non ha particolari ambizioni, o non si occupa di ciò che non la riguarda direttamente, e sim.): lui coltiva il proprio o. e non si cura d’altro; prendere la via dell’o., la più facile; non è la via dell’o., per dire che un cammino, un viaggio è lungo, difficile, faticoso, o che un’impresa è tutt’altro che agevole.
In senso fig., Dante chiama o. [di Cristo] e o. catolico la Chiesa (Par. XII, 72 e 104), e o. de l’ortolano etterno il mondo, governato da Dio (Par. XXVI, 64-65).
Dim. orticèllo, orticino, orticciòlo; spreg., non com., ortùccio; pegg. ortàccio.
Da ‘Enciclopedia Treccani’


Orto 1 [òr-to] s.m.
1 Piccolo appezzamento di terreno, spesso recintato da un muro o da una siepe, coltivato a ortaggi, fiori e alberi da frutto: vangare l'o. || o. botanico, terreno in cui sono coltivate numerose qualità di piante a scopo di studio o ricerca
2 lett. Giardino, frutteto
dim. orticello, orticino, ortino
• sec. XIII
Da Sabatini Coletti ’Dizionario della lingua italiana’


Orto pl. –i
1. piccolo appezzamento di terreno, per lo più cinto da muro o da siepe, in cui si coltivano erbaggi commestibili e talora anche piante da frutto: zappare, vangare l’orto; terra tenuta a orto | (prov.) stare coi frati e zappare l’orto, non prendere posizione su qualcosa, rimettendosi alle decisioni degli altri dim. orticello
2. (lett.) giardino: Pietosa insania, che fa cari gli orti / de’ suburbani avelli alle britanne / vergini (FOSCOLO Sepolcri 130-132)
Etimologia lat. hortu(m).
Da ‘Dizionario di italiano’ Garzanti


Possiamo a questo punto definire l’orto-giardino (che indicheremo da questo momento con il termine horto) un terreno recintato di dimensioni contenute, comunque non superiori ai 1.000 mq, di pertinenza di residenze urbane private familiari e/o condominiali.

Si caratterizza per la coltivazione promiscua, a volte suddivisa in settori, di specie vegetali ornamentali, officinali ed eduli.

Data la definizione proviamo ora a identificare in modo più attento le caratteristiche storiche, agronomiche ed estetiche che ne fanno una specifica tipologia di verde urbano del nostro Paese.

Orti-giardino nella periferia orientale romana

Orti-giardino nella periferia orientale romana

Orti-giardino nella periferia orientale romana

Orti-giardino nella periferia orientale romana

La forma dell’horto è profondamente consolidata nella cultura popolare: nelle aree suburbane delle grandi metropoli la presenza diffusa testimonia una immigrazione di genti rurali che giunte in città, a partire dai primi decenni del secolo scorso, hanno riproposto schemi residenziali delle terre d’origine, società in cui la coltivazione dei vegetali aveva un ruolo centrale nell’economia domestica e nell’uso del tempo libero.

Nelle città minori, ma solo per dimensioni, del nostro Paese questa tipologia di verde continua a persistere anche nei centri storici, caratterizzandone l’immagine, fino a divenire un imprescindibile elemento del paesaggio urbano.

La realizzazione e la tutela degli horti nelle periferie urbane consolidate consente di integrare agevolmente le forme private di conduzione degli appezzamenti di terreno pertinenti alle residenze con la gestione pubblica delle aree verdi comuni.

I contorni sfumati in cui si dissolve la differenziazione, artificiosa, che noi operiamo tra l’edule e l’ornamentale genera una molteplicità di soluzioni funzionali, cromatiche ed estetiche legate alla sensibilità dei fruitori-conduttori, alle caratteristiche dei siti, alle vegetazioni possibili, alle possibilità economiche a disposizione.

L’horto non si configura certamente come l’unica soluzione possibile alla crisi gestionale del verde urbano che attraversa il nostro Paese, determinata dalla emergenza economica e finanziaria che ci investe e i cui effetti negativi si riverberano in modo più energico proprio nella gestione del bene ambientale di cui le nostre città dispongono. Il patrimonio verde, sia pubblico che privato, che arricchisce il tessuto urbano versa in condizioni manutentive non aderenti alle crescenti necessità di fruizione dell’utenza. L’horto rappresenta però un modello, una delle alternative da inserire nelle necessariamente nuove strategie di intervento da mettere in gioco.

L’horto è facilmente riproducibile grazie alla sua fluidità compositiva e alla partecipazione diretta dei fruitori alla sua gestione ordinaria. Se l’horto, a livello privato, è diffuso ma necessita di stabilizzarsi come opzione virtuosa di gestione dei suoli urbani e della biodiversità floristica del territorio, a livello pubblico, ad una scala maggiore, può essere l’elemento minimo progettuale su cui realizzare un Parco degli horti.

Il Parco degli horti, è uno spazio pubblico concepito come un grande contenitore di attività culturali e pratiche da effettuare nel verde La vocazione aggregante di questo tipo giardino articolato consentirebbe di associare aree attrezzate allo sviluppo della vita sociale e culturale di un quartiere, attraendo una utenza consapevole composta da diverse fasce di età.

Bambini, giovani, adulti e anziani possono ritrovare una maniera di condividere passioni e relazioni legate alla vita delle piante e alla natura attenuando la conflittualità generazionale in una azione collettiva di gestione e sviluppo del bene ambientale differenziata ma indirizzata verso un obiettivo comune.

Tutte queste funzioni e attività dovranno essere però inserite organicamente in una successione di aiuole fiorite, percorsi vegetali, boschetti e passeggiate alberate in cui il carattere naturale di sostenibilità gestionale dovrà prevalere senza per questo soffocare le qualità paesaggistiche e ornamentali.

Prati fioriti succederanno a boschetti, arbusti e perenni da fiore prevarranno con le forme e l’habitus caratteristico nelle bordure che fiancheggiano i viali alberati, diminuendo così la gravosa sagomatura e il decespugliamento dei cigli dei camminamenti.

Gli alberi avranno chiome i cui rami partiranno sin dalla base dei tronchi, la subirrigazione e il compostaggio dei residui vegetali provenienti dalle attività di manutenzione del verde diverranno altrettante occasioni di risparmio delle risorse e di impiego razionale della sostanza organica, da reinserire nel ciclo della fertilità del sistema vegetale.

Orti-giardino a Firenze ed Arezzo

Orti-giardino a Firenze

Orti-giardino a Firenze ed Arezzo

Orto-giardino a Arezzo

Il Parco degli horti costituisce un valido modello di organizzazione del verde, in cui l’apporto volontario di lavoro dei coltivatori accompagna le attività manutentive degli addetti del verde, mobilitando capacità professionali e risorse altrimenti sciupate.

Il Parco degli horti, ricomponendo in modo progettualmente creativo la dicotomia artificiosa tra la coltivazione delle specie eduli e delle specie ornamentali, pesca fruttuosamente alle radici della nostra cultura, creando brani di paesaggio che, nel loro equilibrio dinamico, attendono alla città futura che auspichiamo.

segue

3. L’orto nel processo storico di formazione del paesaggio urbano italiano

Nel novero degli approfondimenti sulla realtà dell’orto urbano dedicata in questa sessione di Alfabetoverde, non può mancare un’analisi, seppur parziale e frammentaria, a volo d’uccello, della sua evoluzione storica e di quegli elementi che nel corso del tempo hanno determinato il consolidarsi di questa tipologia di verde che caratterizza una parte significativa del paesaggio urbano italiano. Per consentire uno sviluppo arioso e differenziato dell’analisi che intendiamo condurre, ci avvarremo di testimonianze scritte di autori vari e di una selezione significativa di immagini.

Pur evitando inutili enciclopedismi, l’obiettivo è restituire una dimensione culturale più ampia al ruolo che, nell’attuale dibattito, è assegnato dell’orto.

La parzialità e la discontinuità del percorso programmatico che ci siamo impegnati a realizzare è giustificata quindi dalla necessità di stimolare una più diffusa e ampia consapevolezza, cercando di cogliere con immediatezza il posto che l’orto ha avuto nel processo storico di formazione delle odierne realtà urbane.

Duilio Gambellotti illustrazione per il De re rustica di Lucius Iunius Moderatus Columella

Duilio Cambellotti illustrazione per il De re rustica di Lucius Iunius Moderatus Columella

Gli antichi Romani indicavano con il termine latino hortus (pl. Horti) un ridotto appezzamento di terreno dove poter coltivare gli ortaggi destinati a integrare la dieta alimentare del nucleo familiare. Alle ortaglie potevano associarsi delle vigne e dei frutteti. Che aspetto aveva questo appezzamento di terreno dedicato alle coltivazione domestiche agli albori della millenaria storia dell’Urbe? La sua immagine e la sua articolazione possono essere dedotte principalmente da quanto illustrano i testi scritti sull’argomento dagli autori coevi, giunti a noi spesso in modo frammentario, ed in misura minore dalle testimonianze archeologiche. La nascente città era allora al centro di complesse relazioni con i popoli confinanti, etruschi, italici e soprattutto greci. Durante il periodo orientalizzante il Mediterraneo era percorso da flussi economici e culturali dominati dalla presenza greca: l’alfabeto, la religione, l’abbigliamento, le relazioni tra i popoli che si affacciavano sulle sponde del Mediterraneo erano improntate sulla condivisione dei valori provenienti dal mondo ellenico. Roma non faceva eccezione; per questo motivo la descrizione dell’orto-giardino del palazzo di Alcinoo, che Omero traccia nel libro settimo dell’Odissea, costituisce un valido elemento per poter comprendere la struttura e la forma che tali spazi destinati alla coltivazione domestica e pertinenti alle residenze aristocratiche avevano in epoca arcaica a Roma.


‘Fuori, poi, dal cortile, era un grande orto, presso le porte,
di quattro iugeri: corre tutt’intorno una siepe.
Altri alberi là dentro, in pieno rigoglio,
peri e granati e meli dai frutti lucenti,
e fichi dolci e floridi ulivi;
mai il loro frutto vien meno o finisce;
inverno o estate, per tutto l’anno; ma sempre
il soffio di Zeffiro altri fa nascere e altri matura.
Pera su pera appassisce, mela su mela,
e presso il grappolo il grappolo, e il fico sul fico.
Là anche una vigna feconda era piantata,
e una parte di questa in aprico terreno
matura al sole; d’altra vendemmia i grappoli
e altri ne pigiano; ma accanto ecco grappoli verdi,
che gettano il fiore, altri appena maturano.
Più in là, lungo l’estremo filare, aiuole ordinate
d’ogni ortaggio verdeggiano, tutto l’anno ridenti.
E due fonti vi sono: una per tutto il giardino
si spande; l’altra all’opposto corre fino sotto il cortile,
fino all’altro palazzo; qui viene per acqua la gente.
Questi mirabili doni dei numi erano in casa di Alcinoo.
Là fermo ammirava il costante Odisseo luminoso.
Poi, quando tutto ebbe ammirato nel cuore,
rapidamente passando la soglia, entrò nel palazzo.’ (1)


La tangenziale dismessa

Affreschi di giardini nella Villa di Livia, Roma I sec. a.C.

Col passare del tempo, a partire dall’epoca tardo repubblicana, gli horti perdono la loro esclusiva funzione agricolo-alimentare per assumere un ruolo nuovo, ricreativo, integrando la presenza di alberi e arbusti ornamentali con la coltivazione di fiori destinati alle celebrazioni dedicate agli dei e alle tombe degli antenati.

Questo processo di trasformazione dell’hortus in giardino ornamentale, incrementato dagli intensi rapporti con la Grecia e reso possibile dal miglioramento delle condizioni economiche dei cittadini romani, fa si che con questa diversa finalità si diffonda nelle nuove dimore edificate sulle pendici dei colli e nella cintura verde che circonda la città.

In seguito, a causa della contemporanea penuria di aree ancora inedificate disponibili, di elevati costi dei terreni edificabili e dei crescenti vincoli abitativi della casa media romana, i giardini pertinenti alle residenze appaiono ridotti, come è possibile rilevare negli scavi condotti a Pompei, continuando però a sorgere nelle ville rustiche del suburbio oppure nelle dimore patrizie e dei ceti abbienti. La funzione che associamo comunemente all’orto contemporaneo era invece propria dell’heredium: questo era un appezzamento dalle dimensioni massime di due iugeri di terreno assegnato tradizionalmente da Romolo a ciascuno dei partecipanti alla fondazione di Roma.

Le coltivazioni erano quelle tradizionali della cultura alimentare latina e integravano i cibi provenienti dall’allevamento di ovini e caprini. Il piccolo campo coltivato, nel regime di proprietà comune della gens del territorio latino, pur non essendo regolato da una specifica norma giuridica, era usualmente trasmissibile per successione ereditaria.

Per capire meglio questo processo di trasformazione/integrazione delle funzioni dell’hortus prendiamo a prestito quanto scrive Pierre Grimal sull’argomento:


“Nella legge delle XII Tavole – dice Plinio – non si trova da nessuna parte la parola villa, ma sempre, in questo senso, quella di hortus, e nel senso di hortus, quella di heredium.” * E’ una stranezza di vocabolario che stupisce Plinio e che per noi è molto istruttiva: l’idea essenziale espressa dalla parola hortus, ci dicono gli etimologi, è originariamente quella di recinto **.
Ai tempi delle XII tavole, il linguaggio giuridico conservava il ricordo dell’epoca in cui non c’era ancora stata alcuna divisione di terre e ogni membro della comunità possedeva in proprio solo i due jugeri che la legge gli accordava.***
Questi due jugeri **** moltiplicati per il numero di abitanti maschi della casa, membri della comunità e che di conseguenza possedevano il diritto di proprietà, costituivano il ‘terreno recinto della casa’ e la proprietà della familia.
Nella codificazione delle XII tavole, i termini della legge avevano fissato le parole, ma queste avevano cambiato senso nella lingua, contemporaneamente alla graduale trasformazione del regime della proprietà fino a indicare realtà diverse.
Via via che il recinto privato (hortus, quello che a poco a poco diventerà poi la villa) si ingrandisce e invade la proprietà civica, il terreno che dipende immediatamente dalla casa, e che in qualche modo costituisce il nucleo della nuova proprietà, è riservato alla cultura intensiva dei prodotti di consumo giornaliero: è il regno della ‘fattoressa’ e rappresenta una ‘seconda dispensa’.
Il nome di heredium che esso ormai assume, testimonia il suo carattere originario all’interno della proprietà totale: è la parte di terra che ‘segue l’erede’ ed è il cuore stesso della villa. Così nella tradizione giuridica romana, il giardino occupa un posto privilegiato. A rigore, è l’unica parte della proprietà sulla quale l’erede possiede diritti imprescrittibili, paragonabili a quelli che ha sul suo focolare e sul tetto che lo protegge. Questo singolare carattere del giardino nella villa doveva alla fine esprimersi in una speciale religio. E non è illogico considerare il giardino, sotto l’aspetto giuridico, simile al focolare domestico. E infatti il culto dei Lari, nel periodo storico, unì l’uno all’altro.” (2)

* PLIN. Nat. Hist., XIX, 50: in XII tabulis legum nostrarum nusquam nominator villa, semper in significazione ea hortus in horti vero heredium.
** ERNOUT-MEILLET, Dict. Etym., alla voce “enclos”
*** VARR., R.R. I, 10, 2:bina jugera a quod a Romolo primum divisa dicebantur viritimquae heredem sequerentur, heredium appella rum. Cfr. T. Mommsen Droit public, VI, I, pp. 24-25. Il diminutivo heredium esisteva ancora con un significato simile sotto gli Antonini.
**** jugerum/i da "iugum", cioè "giogo". Unità di superficie agraria romana che equivaleva alla estensione di terreno che si poteva arare in una giornata di lavoro impiegando con una coppia di buoi aggiogati. Lo iugero corrispondeva a circa un quarto di ettaro, (circa 2.519,9 m²), mentre l'heredium , o doppio iugero equivaleva a circa mezzo ettaro (5.039,8 m²)


Affresco pompeiano I sec. a.C.

Affresco pompeiano I sec. a.C.

Le fasi di questo processo di trasformazione fondiaria, economica e culturale che interessò l’Agro Romano sono complesse e di grande interesse per gli sviluppi futuri. Come ha recentemente illustrato con sapienza e con un ricco apparato documentario la mostra allestita presso gli spazi espositivi dell’Ara Pacis di Roma ‘Nutrire l’Impero. Storie di alimentazione da Roma a Pompei’, già alla fine del II sec. a.C. l’Urbe aveva una popolazione dalle dimensioni considerevoli che necessitava di enormi quantità di derrate alimentari a disposizione per la distribuzione e al vendita. Questo elemento, aggiunto all’estensione territoriale ottenuta nella penisola a seguito della sua politica di conquista, fece aumentare ulteriormente la richiesta di cibo. Se le esigenze di approvvigionamento relative al grano, al vino e all’olio furono inizialmente soddisfatte con ingenti importazioni dalla Spagna, dall’Africa e dalla Sicilia, pagate con i tributi dovuti dalle nuove provincie acquisite dallo stato romano, per quanto riguarda gli alimenti freschi, cioè ortaglie, frutta e verdura, questi giungevano in massima parte nei mercati cittadini provenienti da coltivazioni condotte in prossimità della cerchia urbana.

Di fronte alla crisi alimentare che si andava a delineare Catone si scagliò contro la moda crescente, giunta dalle ricche città della Magna Grecia, di destinare i fondi suburbani alla realizzazione di giardini dedicati all’ozio, riproponendo la necessità, sul solco della antica tradizione latina, di coltivare tutti quei vegetali in grado di sostenere con l’agricoltura l’economia e integrare la dieta quotidiana delle famiglie romane.

Per questo consigliava di piantumare nei terreni del suburbio alberate su cui far arrampicare la vite, intercalate da filari di coltivazioni erbacee e orticole, in special modo legumi. Cavoli, cipolle, porri, rape, fave, agli, ceci, cicerchie, lenticchie, insieme alle noci e ai fichi, alle erbe selvatiche raccolte lungo le rogge e ai piedi dei boschetti rimasti ai margini delle coltivazioni avevano costituito fino ad allora prodotti consueti sulla mensa dei romani, alimenti spesso consumati crudi oppure cotti al sole, conditi rusticamente con qualche goccia di aceto.

Delocalizzando le colture estensive di frumento, gli uliveti e i vigneti nelle provincie, gli orti delle aree suburbane, condotti con capacità imprenditoriale, furono in grado di fornire alimenti freschi utili ad aumentare la qualità nutritiva della dieta alimentare.

La corona verde degli horti dell'Urbe in epoca imperiale (da V. Jolivet)

La corona verde degli horti dell'Urbe in epoca imperiale (da V. Jolivet)

La campagna intorno a Roma doveva allora apparire costellata dagli orti, piccoli e grandi, alimentati dai numerosi acquedotti che conducevano in città, da vigne e frutteti e dalle numerose villae, lussuose abitazioni sorte sempre più numerose per ospitare nella quiete dei giardini l’aristocrazia romana. Qui gli horti assunsero definitivamente il significato di spazi coltivati senza alcuna finalità produttiva se non quella di dare piacere ai residenti e ai loro ospiti.

Ma nonostante le trasformazioni allora in atto siano determinate da dinamiche di internazionalizzazione dello stato romano che coinvolgono enormi interessi politici e finanziari permane tra le pieghe della città, ancora vivo, un contesto sociale dai forti caratteri di rusticità e amore per la terra proprio della migliore tradizione rurale latina. Ancora Pierre Grimal ci regala una intensa immagine degli orti chiusi del suburbio e della realtà sociale, per molti versi simile alla attuale, che animava le attività di questi preziosi spazi verdi dedicati alle coltivazioni:


(…) Alla fine del II sec. a.C., in tutto il periodo dell’Impero, esisteva ancora intorno alla città una cintura di piccoli giardini, orticelli e frutteti. Essi permangono nei grandi possedimenti terrieri trasformati in parchi, sono i recinti rustici talvolta chiamati hortuli, dove si coltivano verdure e alberi da frutta. Sappiamo che Terenzio, morendo, legava alla figlia ‘ venti jugeri di giardino sulla via Appia, presso il tempio di Marte’, è probabile che questi hortuli non fossero un unico fondo, ma piccoli appezzamenti di terreno che permettevano al poeta di vivere, con l’affitto.
Tutto il quartiere di Marte e le rive dell’Almone erano così, ‘stipati’ questi giardini, dove sorgevano, tra le aiuole di ortaggi, i capanni, le tabernae, tanto caratteristiche di tutte le periferie. Anche adesso non sarebbe difficile trovare, nei pressi della cappella di Quo Vadis, alcuni di questi orti, chiusi da una leggera palizzata di canne., con la loro taberna dove la sera e la domenica la gente prende il fresco. Nessuna vistosità, seppure piccola, in questi giardini, nessuna ricerca di effetto qualsiasi, ma il puro piacere di starsene in campagna e di veder germogliare i semi messi a suo tempo nel terreno. Festicciole la sera con gli amici e ritorno in città al tramonto. Tutti questi piaceri la gente di Roma li conosceva bene, non c’era nessuno, per quanto povero o libero, che non si potesse concedere l’illusione di un giardino e di una taberna sotto un pergolato fuorimano con la sua vite e le rose rampicanti.
(…) Talora quando l’appezzamento era piccolo, bastava un albero per riempire il giardino. E ce ne sono di così piccoli che potremmo paragonarli a vasi di fiori ‘appesi’ alla finestra.” (3)


Con l’avvento del Cristianesimo l’orto assume significati diversi, riconducibili a immagini proprie della teologia elaborata dai primi padri della Chiesa.

Isidoro di Siviglia, filosofo cristiano vissuto nel VII secolo d.C., nella sua opera più nota, l’ Etymologiae, scritta nel primo terzo del VII secolo, in riferimento all’orto, così fa derivare il significato del termine:

“Si chiama orto perché vi nasce sempre qualcosa. Negli altri terreni nasce qualcosa una volta l’anno: l’orto invece non è mai senza frutto” (4)

Facendo derivare il significato dalla parola dal verbo orior, ‘nascere’, radice linguistica che definisce anche l’Oriente, il nascere del giorno, la terra dove sorge il Sole, Isidoro attribuisce all’orto una valenza metaforica che la collega al ruolo evangelico della Chiesa di Cristo, che dona i propri frutti spirituali costantemente, in contrapposizione alla natura circostante, individuata come simbolo del paganesimo e del caos, priva di costanza nella sua produzione di beni. Questa idea di spazio coltivato in cui di fatto le stagioni sono benevole e immutabili, dove le piante offrono i loro frutti in una dimensione che le pone al di fuori della storia, spinge l’orto ad assumere il ruolo di paradiso, di rappresentazione della condizione successiva a quella umana, storica in cui siamo chiamati a vivere la nostra esistenza terrena. Anche in questo caso la radice linguistica del termine usato per definire lo spazio celeste in cui saremo accolti riconduce ad una specifica tipologia di verde che i Profeti dell’Antico Testamento acquisiscono al contatto delle altre civiltà mesopotamiche durante i lunghi periodi di esilio forzato passati in cattività nella ‘terra tra i due fiumi’. La parola paradiso proviene da quella persiana, pairi – daëza che connota il parco reale di caccia e piacere di proprietà del Sovrano, dove questi esplica le sue funzioni regali e si intrattiene con la corte e con gli emissari stranieri. Il vocabolo pairi – daëza diviene poi pardes in ebraico e nella trascrizione greca paràdeisos.

La fine del sistema imperiale romano e l’avvento di nuove genti che si inseriscono nella storia sociale, economica e culturale del nostro Paese producono dinamiche complementari di implosione del tessuto urbano e di spopolamento delle campagne. L’incastellamento e la fortificazione dei castra, che divengono fenomeni diffusi in Europa e in Italia a partire dal IX secolo, non sono semplicemente determinati dalla esigenza delle popolazioni rurali di difendersi dagli attacchi esterni da parte di genti nomadi e dei saraceni, che pur costituiscono un fattore costante di pericolo , ma dalla nuova struttura e organizzazione sociale ed economica del territorio introdotta prima dai longobardi e poi consolidata durante il periodo carolingio. I nuovi centri fortificati, che sono la sede del potere politico, economico e giurisdizionale signorile, si sviluppano in forme di dominio tipiche del feudalesimo. Rappresentano la dimensione pubblica di un potere che è legato profondamente al possesso delle terre e al loro governo. Iniziano a concentrarsi numerosi gli orti lungo la fascia perimetrale della cinta muraria: i seminativi e i pascoli, che abbisognano di un apporto di manodopera minore e diluito nel tempo, si allontanano da questa fascia periurbana fino ai margini delle macchie e dei boschi.

Prende corpo allora quell’immagine caratteristica del paesaggio medioevale italiano che si dilata fino ai nostri giorni. Nel nostro Paese si affaccia alla storia l’esperienza comunale come nuovo punto di aggregazione di poteri assegnati dall’imperatore oppure dalla Curia Vaticana, ai vescovi o alle potenti corporazioni.

Valerio Massimo 'Detti e fatti memorabili' Fiandre 1455

Valerio Massimo 'Detti e fatti memorabili' Fiandre 1455

L’espansione dei centri urbani travalica la dimensione degli antichi perimetri originando nuove e più ampie cinte murarie. Queste devono difendere la città dall’aggressione delle altre realtà comunali in una condizione continua di conflittualità. Le fasce interne ed esterne a ridosso delle cinte murarie divengono potenziali serbatoi di resistenza alimentare nei periodi in cui il comune subisce l’assedio degli eserciti rivali. Gli orti assumono sempre più un carattere strutturale dell’urbanistica medioevale. All’interno delle mura cittadine, protetto sovente da alte mura che lo circondano, si sviluppa contemporaneamente l’ hortus conclusus, cioè l’orto di piccole dimensioni, dove coltivare piante e alberi a scopi alimentari, medicinali e ornamentali. L’orto concluso rappresenta per certi versi la tipologia più significativa del giardino medioevale dedicato alla coltivazione urbana di piante per scopi alimentari e medicinali e, in misura minore, ornamentali. La funzione di questi spazi verdi, ancora numerosi nelle odierne aree storiche delle piccole e medie città italiane, si trasforma nel tempo per giungere a essere semplicemente un luogo sereno e accogliente di svago. I significati attribuiti all’orto si modificano e si articolano fino alla comparsa di una nuova realtà legata alla coltivazione delle piante nelle città, il giardino. Questo è un termine che la lingua italiana attinge dal francese jardin: Cielo D’Alcamo, uno dei maggiori poeti duecenteschi della scuola siciliana, è tra i primi ad usare in Italia il termine volgare di jardino in un a sua composizione. Jardin a sua volta ha origine dall’idioma franco gard, che significa luogo chiuso, recintato. Appare subito evidente l’assonanza tra i termini linguistici hortus e jardin che contengono tutti e due lemmi riconducibili allo stesso significato.

Maugis e Oriande in giardino, protagonisti del Roman de Renaud de Mountauban 1475

Maugis e Oriande in giardino, protagonisti del Roman de Renaud de Mountauban 1475

All’orto si affidano progressivamente funzioni e coltivazioni prevalentemente alimentari e officinali, mentre il giardino assume il ruolo di spazio privilegiato dedicato alle piante fiorite e ornamentali che ospita la vita di corte, luogo dove si manifesta e si sviluppa l’amore cortese, attività che, insieme a quella guerresca assurge a simbolo proprio della aristocrazia, diviene il tema centrale della produzione poetica che i trovatori medievali offriranno alle corti europee.

Il trasferimento di significati attribuibili ai due spazi verdi non è però sempre netto, continuando a sfumare l’uno nell’altro fino ai nostri giorni.

“(…) Ancora più labile la distinzione tra orto e giardino. Solo tardi, con il XII e il XIII secolo, la terminologia comincia a definirsi e a distinguere, le fonti documentarie cominciano a lasciare testimonianze che tuttavia sono più frequenti in alcune regioni europee (la Francia e l’Italia) piuttosto che in altre. Il termine assolutamente privilegiato nelle fonti medievali è quello di orto, ma è del tutto impossibile dire cosa si indicasse con esso: la distinzione tra giardino di piacere e giardino dei semplici, tra giardino della salvezza e giardino di verdure, sono proiezioni moderne di ideologie e cultura su una realtà che sembra essere più complessa e articolata della volontà di distinguere e tipizzare.” (5)

Brani di tessuto urbano dedicati alle coltivazioni continuano a persistere in molti piccoli e medi centri della Penisola, come testimonia la piccola galleria fotografica che segue.

Pienza (Si): orto murato

Pienza (Si): orto murato

Capodimonte (Vt): orto-giardino

Capodimonte (Vt): orto-giardino

San Giminiano (Si): orti e uliveti sul poggio di Sant'Agostino

San Giminiano (Si): orti e uliveti sul poggio di Sant'Agostino

San Giminiano (Si): orti e uliveti sul poggio di Sant'Agostino

San Giminiano (Si): orti e uliveti sul poggio di Sant'Agostino

Assisi (pg), frutteti e uliveti lungo la cinta muraria del centro storico

Assisi (pg), frutteti e uliveti lungo la cinta muraria del centro storico

Spoleto (Pg): orti e uliveti coltivati lungo i margini dell'abitato

Spoleto (Pg): orti e uliveti coltivati lungo i margini dell'abitato

Siena: orti e vigne a ridosso della chiesa di Santa Caterina

Siena: orti e vigne a ridosso della chiesa di Santa Caterina

Siena: orti e vigne a ridosso della chiesa di Santa Caterina

Siena: orti e vigne a ridosso della chiesa di Santa Caterina

Asciano (Si): vigne e orti realizzati in prossimità delle mura medioevali

Asciano (Si): vigne e orti realizzati in prossimità delle mura medioevali

Asciano (Si): vigne e orti realizzati in prossimità delle mura medioevali

Asciano (Si): vigne e orti realizzati in prossimità delle mura medioevali

Firenze: uliveti, orti e giardini a Boboli

Firenze: uliveti, orti e giardini a Boboli

Rieti: successione di orti lungo le sponde del fiume Velino

Rieti: successione di orti lungo le sponde del fiume Velino

Torcello (Ve): orti, frutteti e vigneti

Torcello (Ve): orti, frutteti e vigneti

Torcello (Ve): orti, frutteti e vigneti

Torcello (Ve): orti, frutteti e vigneti

Brescia: orti murati sul colle Cidneo

Brescia: orti murati sul colle Cidneo

Perugia: orti-giardino nel centro

Perugia: orti-giardino nel centro

Perugia: orti nella periferia

Perugia: orti nella periferia


‘Nel periodo medievale, l’orto costituiva una risorsa fondamentale e strategica per le popolazioni, sia cittadine che rurali. Gli orti garantivano la produzione dei vegetali per la tavola, anche durante gli assedi, inoltre fornivano molte delle essenze aromatiche e delle spezie necessarie per preparare il cibo e i preziosi semplici, le piante medicinali indispensabili nella farmacopea e nella medicina del tempo. Gli stessi statuti comunali imponevano alla popolazione l’impianto dell’orto allo scopo di prevenire fame e carestia. E’ il caso dello statuto cinquecentesco di Civitella Casanova: uno specifico articolo esigeva che ogni cittadino piantasse almeno 200 piantine di cavolo nel mese di maggio.
D’altronde, lo stesso Carlo Magno nel “Capitolare de villis”, redatto intorno all’anno 795, diede indicazioni sulla coltivazione di numerose specie vegetali negli orti, di cui venne redatto un dettagliato elenco, per gli usi più svariati, primi fra tutti alimentare e medicinale. Gli statuti comunali del tempo si preoccupavano di difendere gli orti dai furti e dal danneggiamento.
(…) Si prevedono in maniera meticolosa anche le relative pene ed ammende raddoppiate nel caso il reato venisse commesso di notte. Nello statuto cinquecentesco di Atri vengono individuate ben sette diverse tipologie orticole, a riprova della grande considerazione che queste forme di coltura intensiva avevano per la società del tempo: orti dentro la città, orti dei religiosi, orti fuori della città, orti dei meloni e delle zucche, orti degli spinaci, orti per la produzione di piantine, orti dei contadini.
Intorno alla città medievale, le colture agrarie si distribuivano in relazione alla loro importanza, in fasce concentriche denominate ‘senaite’. All’interno delle mura o nelle immediate vicinanze, si localizzava la fascia degli orti, più esternamente quella dei vigneti ed oliveti, dei campi coltivati a cereali e, nelle aree più lontane, i pascoli e i boschi.
(…) Nell’area urbana, gli orti erano solitamente recintati da alte mura per impedire furti e danneggiamenti. Spesso si addossavano alla cerchia muraria perimetrale o si localizzavano su terrazzamenti realizzati sulla scarpata sottostante le mura cittadine, specialmente nei versanti con esposizione meridionale. Apposite scale appoggiate alle mura permettevano ai proprietari o conduttori degli orti di accedervi dall’interno della città. Non di rado essi venivano allocati nel sito di vecchie abitazioni distrutte ed abbandonate all’interno degli insediamenti. Di frequente, specialmente nell’area montana, gli orti circostanti il centro abitato erano di proprietà comunale come nel caso di Gessopalena, dove buona parte delle superfici ortive prossime alla rupe, su cui sorgeva l’abitato medievale, appartenevano all’Università che li concedeva in affitto ai contadini, almeno nella prima metà del XVIII come si evince dal catasto onciario del 1747.’ (6)

Le dinamiche che investono la società con l’avvento di un nuovo stadio dello sviluppo sociale e culturale permeano anche il modo di realizzare orti e giardini. Il pensiero umanista introduce nuovi elementi di riflessione che però continuano a coesistere ancora per lungo tempo con i criteri di gestione degli spazi verdi cittadini che convenzionalmente sono attribuiti alla società urbana medievale.

‘Ed ecco che il giardino è, ancora una volta, l’ambiente preferito per le conversazioni, le dissertazioni, le letture, le meditazioni. E anche il gusto contemplativo del giardino prende a laicizzarsi: si fa ambiente di speculazione più filosofica che teologica; e quindi già si avverte il primo gusto scientifico.
Un’Accademia Platonica non può certo che coltivare altro che un genere di filosofia tutta ispirata ai principi celesti; pena, altrimenti, di non potersi più dire Platonica; e ciò è sufficiente ad ancorarla fermamente ai destini trascendenti dell’uomo; è sufficiente, insomma, a non farsi astrazione logica di filosofi filosofanti. E’ filosofia ben piantata nei più fondi recessi della vita; ed è per questo che il giardino continua ad essere, al tempo stesso, orto; o meglio, i due termini giardino ed orto continuano ad usarsi indistintamente l’uno per l’altro. Almeno per tutto il XVI secolo, insomma, la parola giardino (per l’Accademia della Crusca non era ancora nata), continuava ad essere soltanto un francesismo; un francesismo favorito, d’altronde, dall’immagine dei meravigliosi giardini costruiti già nel Medioevo in Provenza.
Il tipico orto che fu appunto luogo di ritrovo dell’Accademia Platonica fiorentina, reca il nome plurale di Orti Oricellari; e ciò rende ancor più evidente, sia la varietà e la distinzione accurata delle colture, sia il particolare gusto di vagare da un luogo all’altro pur rimanendo nel solito ambiente (quanto al nome Oricellari è un nome gentilizio, è il nome della famiglia dei primi proprietari: i Rucellai).
Qui, ripetiamo, con il gusto della contemplazione, e quindi della profusione di fiori piacevoli e accoglienti sistemazioni, persevera la coltivazione di piante utili, e si prendeva, inoltre, a guardare le piante con interesse speculativo; cominciava ad affermarsi il bisogno disinteressato di conoscere la natura in tutte le sue svariate forme. Non era ancora, si badi bene, il gusto propriamente scientifico-tecnico della documentazione e della catalogazione, ché la contemplazione della bellezza restava sempre quale elemento predominante; era la filosofia tendente a considerare le forme della natura come espressioni dello spirito. E, del resto, l’animo dello scienziato già aveva avuto modo di affermarsi sin dal Medioevo attraverso speculazione aristotelica, e ciò soprattutto con gli erbari compilati a scopo di medicina; solo che tale mentalità non era ancora riuscita a farsi gusto in espressioni d’arte valide e concrete, quali. Appunto, quella del giardino’ (7)

NeuKolln (berlino) 1912: colonia di orti operai

NeuKolln (Berlino) 1912: colonia di orti operai

Ancora nel secolo XIX fino alla metà del XX gli orti urbani sono inconfondibilmente legati alle aree urbane residuali, alle abitazioni familiari, al tessuto residenziale urbano di tipo estensivo. Gli urbanisti europei, che a partire dalla fine del XIX secolo cominciarono ad elaborare nuove linee di sviluppo per una realtà urbana in rapida evoluzione, individuarono negli orti urbani uno strumento di mitigazione degli effetti negativi, dal punto di vista sociale, sanitario e culturale, che l’intenso inurbamento stava producendo sulla popolazione cittadina. In particolare era apprezzata la loro funzione di integrazione della dieta alimentare delle famiglie operaie, oltre a costituire una attività di svago con benefici influssi sulla salute.

‘Gli orti individuali nacquero in Germania sullo sfondo delle trasformazioni tecniche, economiche e sociali del XIX secolo. Fino a oggi hanno subito diverse trasformazioni nel significato sociale e individuale, e anche nell’aspetto esterno. Il movimento degli orti individuali ebbe inizio nell’ambito dell’opera di assistenza sociale svolta dai comuni allorchè si misero a disposizione dei gruppi indigenti della popolazione, in sostituzione di appoggi finanziari, lotti di terreno fuori dall’abitato perché vi coltivassero frutta e legumi. Questi terreni, che avrebbero dovuto migliorare la carente situazione alimentare delle famiglie, furono allestiti come semplici orti con file di aiuole coltivate e alberi da frutta. La richiesta degli orti dei poveri crebbe col progredire dell’industrializzazione nella seconda metà del XIX secolo, mentre la popolazione maschile dalle campagne si trasferiva in sempre maggior numero nelle città per cercarvi lavoro. Le cattive condizioni degli alloggi e del lavoro, e le ristrettezze alimentari derivanti dalla recessione dell’agricoltura, provocarono problemi sociali rilevanti per la classe proletaria in formazione. Per questo la coltivazione di frutta e ortaggi in piccoli lotti di terreno fuori delle città potè alleviare la fame e i bisogni di una parte della popolazione che, proveniente dalle campagne, era abituata a provvedere a se stessa.
Nuovo impulso alla diffusione del movimento degli orti individuali fu dato da una associazione educativa, fondata alla metà del XIX secolo, sulla base delle idee del dottor Schreber. Scopo dell’associazione era promuovere al salute e l’educazione popolare mediante attività sportive e giochi all’aperto, soprattutto per i bambini e i giovani.
(…) Gli obiettivi del dottor Schreber furono perseguiti, dopo la sua morte, dal dottor Hauschild. Fu di quest’ultimo l’idea di introdurre il giardinaggio come materia d’insegnamento per gli scolari: ai margini dei campi da gioco per bambini furono sistemate aiuole che in seguito vennero trasformate in orti familiari. Ambedue le iniziative – gli orti dei poveri, assegnati preferibilmente a lavoratori dell’industria, e i giardini poi denominati Schrebergarten che interessavano oltre al settore puramente industriale anche gruppi piccolo-borghesi – nel 1910 si riunirono a formare l’Associazione centrale degli orticoltori operai di Schreber.
Fino a quell’epoca gli orti individuali erano legati a necessità vitali come la produzione di generi alimentari, e la loro sistemazione era condizionata da una superficie minima. Questo determinava la semplice attrezzatura degli orti, e anche la forma elementare di comprensione della natura dei loro coltivatori, in gran parte proletari. Questa parte della popolazione non era interessata all’arte dei giardini, ma si può ugualmente parlare di una cultura del giardino proletaria con la finalità del miglioramento delle condizioni di vita.

Reinickndorf/Wittenau (Berlino) 1931: orto operaio

Reinickndorf/Wittenau (Berlino) 1931: orto operaio

All’inizio del XX secolo gli orti individuali e gli Schrebergarten erano sistematicamente progettati dalle città e dai comuni, e spesso collegati a parchi pubblici, che in quell’epoca erano soprattutto parchi popolari, le prime zone verdi accessibili a tutti gli strati della popolazione, sorti dopo la fondazione della Repubblica di Weimar grazie al cambiamento delle condizioni politiche.
In tal modo agli orti individuali si connettevano tematiche democratiche, come l’autonomia e la responsabilità individuale, che dovevano poi ripercuotersi nel 1919 nella’approvazione dell’ordinanza relativa ai contratti di locazione per orti individuali e piccoli terreni, e nel 1924 nel riconoscimento della loro pubblica utilità.’ (8)

‘La presenza di orti-giardino nelle città non è certo un fenomeno recente. Recente è, invece, la loro mutazione, sia nelle forme proprietarie che nelle funzioni e nelle pratiche, in un progressivo adattamento ai cambiamenti economici, sociali e culturali contemporanei. In modo quasi paradossale, gli orti conoscono un considerevole sviluppo nelle aree urbane con la rivoluzione industriale. In Francia l’idea dell’orto-giardino per la classe operaia viene addirittura teorizzata per le sue benefiche proprietà di natura economica, sociale e anche sanitaria. I periodi bellici e post-bellici della prima metà del Novecento accentuano l’importanza economica degli orti urbani e il loro ruolo nel combattere la fame. Nel secondo dopoguerra, dopo un periodo in cui gli orti urbani furono marginalizzati, sia fisicamente che nella percezione sociale, si annuncia un importante mutamento nelle loro funzioni come nella loro fruizione e gestione ed è interessante fissare l’attenzione sull’insorgenza del nuovo, dopo la discontinuità degli anni Cinquanta e Sessanta, per coglierne gli aspetti originali, i caratteri comuni con cui si presentano e anche le specificità che li connotano.

Viallaggio operaio di Crespi Adda (www.villaggiocrespi.it - Archivio aerofoto.it)

Viallaggio operaio di Crespi Adda (www.villaggiocrespi.it - Archivio aerofoto.it)

(…) Con lo sviluppo della fabbrica emergono nuovi tipi di orto, di cui sono esempio, da una parte, piccole coltivazioni abusive realizzate in luoghi marginali (strisce di terra lungo le ferrovie o lungo fiumi o canali) e, dall’altra, veri e propri orti messi a disposizione degli operai dal ‘paternalismo industriale’. Il ricorso fatto dall’industria al grande serbatoio della manodopera di origine rurale spiega bene le iniziative padronali. L’orto assolveva, infatti, a una funzione di parziale compensazione alla nocività della vita in fabbrica, attraverso il lavoro all’aria aperta, e a una funzione economica d’integrazione del reddito per gli operai, attraverso la produzione diretta di alimenti per le necessità familiari. In questo quadro acquista significato la creazione di orti vicino alle residenze operaie nelle città in cui le industrie andavano a localizzarsi e la loro presenza nella progettazione della ‘città sociale’, vale a dire la città in cui strutture e infrastrutture erano progettate ex novo in funzione della fabbrica. Gli esempi sono molteplici.
Fra i casi italiani più noti, è da ricordare quello del villaggio Crespi d’Adda, divenuto patrimonio UNESCO, che illustra esemplarmente strutture materiali e ideologia ispiratrice del villaggio operaio (Guiotto, 1979).’ (9)

Ettore Nolli: 'La nuova topografia di Roma' 1748; nello stralcio cartografico del circondario di San Giovanni in Laterano è evidente la consistente presenza di orti, vigne e frutteti all'interno della cinta muraria dell'Urbe

Ettore Nolli: 'La nuova topografia di Roma' 1748; nello stralcio cartografico del circondario di San Giovanni in Laterano è evidente la consistente presenza di orti, vigne e frutteti all'interno della cinta muraria dell'Urbe

Questa impostazione, però, trovava a parte alcune eccezioni, una opposizione consistente nel nostro Paese. Negli ultimi decenni del XIX secolo nella Capitale il tessuto urbano del centro storico, seppure interessato dagli imponenti lavori promossi dalla monarchia sabauda dopo l’unificazione italiana per adeguare la città agli standard europei, presentava ancora numerose e diffuse aree dedicate agli orti, alle vigne, ai prati e ai frutteti. Questa caratteristica dello sviluppo urbano cozzava con motivi sì legati alla salubrità dei luoghi spesso paludosi e forieri di infezioni, ma soprattutto con la voracità speculativa generata dagli interessi congiunti e convergenti di banche e imprese edili.

Nel 1882 Giuseppe Pinto, Consigliere sanitario provinciale della Commissione Generale d’Igiene, pubblica uno studio teso a individuare delle aree dell’Agro romano adatte da destinare alla realizzazione di nuovi nuclei residenziali.

Argomenta la necessità di realizzare nuovi centri abitabili da porre al di fuori del nucleo urbano centrale sviluppato all’interno delle Mura Aureliane nel modo che segue:

“Tutto ciò che havvi di vigneto, di orto, di bassura acquitrinosa, di umidore da canneto o cattivo governo delle marrane deve ricacciarsi al di là della cinta muraria, in ogni lato della città, ma specialmente in questo ora descritto che, per essere esposto ai venti meridionali di scilocco e libeccio, rimane insalubre, e per cause naturali ed avventizie.
Allontanando la zona ortiva e vignata dall’interno della città e rincacciandola ed espandendo in tal modo la parte coltivata del suburbio, si allargherebbe d’assai quella cultura intensiva che forma uno dei più spinosi problemi di riuscita, avuto riguardo alla questione massima del bonificamento dell’Agro Romano.” (10)

Roma 1850 circa: orti e frutteti presso il tempio della Minerva Medica

Roma 1850 circa: orti e frutteti presso il tempio della Minerva Medica

Roma 1850 circa: orti e frutteti presso il tempio della Minerva Medica

Roma 1850 circa: orti e frutteti presso il tempio della Minerva Medica

Gli orti e frutteti tra Santa Croce in Gerusalemme e il Tempio della Minerva Medica

Gli orti e frutteti tra Santa Croce in Gerusalemme e il Tempio della Minerva Medica

Gli orti e frutteti tra Santa Croce in Gerusalemme e il Tempio della Minerva Medica

Gli orti e frutteti tra Santa Croce in Gerusalemme e il Tempio della Minerva Medica

Roma gli orti tra S. Giovanni in Laterano e S. Croce in Gerusalemme nel 1850

Roma gli orti tra S. Giovanni in Laterano e S. Croce in Gerusalemme nel 1850

Roma gli orti tra S. Giovanni in Laterano e S. Croce in Gerusalemme oggi

Roma gli orti tra S. Giovanni in Laterano e S. Croce in Gerusalemme oggi

Roma gli orti tra S. Giovanni in Laterano e S. Croce in Gerusalemme nel 1850

Roma gli orti tra S. Giovanni in Laterano e S. Croce in Gerusalemme nel 1850

Roma gli orti tra S. Giovanni in Laterano e S. Croce in Gerusalemme oggi

Roma inizi del '900: strada rurale ai monti parioli

 

Nei primi decenni del xx secolo architetti e urbanisti italiani, sulla scorta di alcune innovative esperienze europee, furono impegnati alla costruzione di addizioni urbane, destinate alla crescente popolazione, realizzate cercando di rispettare i necessari criteri di qualità ambientale e sociale.

Il quartiere della Garbatella, Roma

Il quartiere della Garbatella, Roma

In particolare si segnalano l’approvazione del nuovo Piano regolatore di Amsterdam e delle green town sorte in Gran Bretagna, che prevedevano, tra l’altro, la realizzazione di centri urbani satellite alla metropoli adeguatamente provvisti di spazi verdi pubblici e privati, determinò scelte urbanistiche di un certo valore. A Roma la volontà di adeguare il territorio alla nuova veste di capitale dell’Impero unita alla necessità di accogliere un consistente numero di immigrati dalle altre regioni del Paese portò alla realizzazione di alcuni quartieri suburbani in cui agli edifici residenziali fanno da contrappunto orti e giardini. La Garbatella e la Città-Giardino Aniene costituiscono ancora oggi degli episodi che, seppur limitati, forniscono ancora utili indicazioni su un modo diverso di progettare lo sviluppo della città.

Il quartiere della Garbatella, Roma

Il quartiere della Garbatella, Roma

Nella scuola, che accoglie sempre più numerosi i figli di coloro che dalle campagne si trasferiscono in città, le sorelle Agazzi e la Pizzigoni in Lombardia, Marcucci e la Montessori a Roma propongono nuovi programmi didattici in cui l’insegnamento pratico dell’orticoltura rappresenta uno degli elementi cardine della didattica.

Le scuole nuove hanno nelle attività pratiche legate alla coltivazione dei vegetali, un importante strumento in grado di introdurre i ragazzi allo studio della natura.

La realizzazione di orti e aiuole fiorite nei giardini scolastici attenua poi la difficoltà di vivere in quartieri malsani, dove la promiscuità, unita alle condizioni fatiscenti delle abitazioni appare come una delle cause del degrado sociale e morale degli strati popolari cittadini.

Roma anni 30: corso di orticoltura e giardinaggio per maestre elementari

Roma anni 30: corso di orticoltura e giardinaggio per maestre elementari

Durante il ventennio fascista la parola d’ordine di ruralizzare le masse individua nella scuola uno dei motori principali del processo, che tuttavia non raggiunge gli obiettivi fissati dal regime. Alla luce dei dati relativi alla popolazione italiana si assiste infatti ad un crescente e ininterrotto inurbamento delle popolazioni rurali che non presenta soluzioni di continuità con il passato.

L’opera di allontanamento delle coltivazioni orticole dai centri cittadini subisce uno stop momentaneo durante il secondo conflitto mondiale per consentire alle popolazioni di poter produrre una seppur minima quantità di prodotti agricoli necessari al loro sostentamento, vista la difficoltà di approvvigionamento alimentare creatasi soprattutto a partire dagli anni 41-42. Gli orti di guerra, diffusi e sviluppati per necessità nelle aree verdi dei centri storici italiani, rappresentano il culmine di una impostazione urbanistica e politica che riesce ad assegnare all’orto urbano ancora un ruolo fondante della vita in città.

‘Nel 1941 il marketing fascista inventa l’orto di guerra (“l’orticello di guerra, e prego Iddio, che vegli su di te babbuccio mio” erano i versi di una canzone del tempo). Questa iniziativa, ovviamente irrilevante nella dimensione della produzione, aveva però inciso profondamente in alcuni paesaggi dell’Italia del tempo: quei giardinetti kitsch che i capostazione avevano formato con cura nelle aiuole vicino alle soste dei treni, con la loro passione di dilettanti dell’arte dei piccoli giardini, si trasformavano in lillipuziani campi di grano. Questo avveniva anche nelle città, una dichiarazione di nuovo futurismo contro il ‘superfluo passatista’ del fiore, anzi per bandire l’idea stessa del giardino, come cosa inutile, dai nostri paesaggi implicitamente anche futuri. La città si trasformava in una scena felliniana: il paesaggio urbano immerso in quei tappeti prima marroni poi verdi e infine gialli.’ (11)

L'orto di famiglia

L'orto di famiglia

‘In Italia, la diffusione degli orti operai (detti anche ‘orti di famiglia’) si manifesta in misura significativa – durante la prima guerra mondiale – sopratutto nelle grandi città del Nord e del Centro-nord. La necessità di integrare – in un periodo di crisi – lo scarno bilancio familiare delle classi meno abbienti fa sì che vengano messi a coltura i terreni liberi, soprattutto nelle vicinanze dei quartieri popolari, che in quella fase di trasformazione urbanistica delle città (conseguente ai primi fenomeni di immigrazione dalla campagna) si trovavano all’estrema periferia, confinanti con la fascia agricola che circondava la città. (…) Una volta terminata la guerra, l’esperienza degli orti urbani e degli orti di guerra, sia a Milano che nelle maggiori città del Centro-nord, venne progressivamente abbandonata per lasciare il posto al massiccio fenomeno della ricostruzione post-bellica, fenomeno che si sviluppò soprattutto dopo il 1950. La diminuzione del numero degli orti, nel secondo dopoguerra, fu molto rapida: il desiderio di cancellare i ricordi delle privazioni patite, la spinta verso la ricostruzione e il dilagare dell’urbanizzazione decretarono il loro declino.’ (12)



Milano estate 1941: grano in Piazza della Repubblica

Milano estate 1941: grano in Piazza della Repubblica

Milano estate 1941: grano in Piazza del Duomo

Milano estate 1941: grano in Piazza del Duomo


Al termine del secondo conflitto mondiale nel nostro Paese si accentuò il processo di urbanizzazione delle popolazioni rurali: il vasto movimento migratorio legato al boom economico ha richiesto la realizzazione di abitazioni a basso costo dove ospitare i consistenti nuclei familiari provenienti prevalentemente dalle campagne e dal meridione d’Italia. L’intensa opera di edificazione, avviata nella maggior parte dei casi disordinatamente seguendo logiche meramente speculative, ha modificato irreversibilmente il paesaggio urbano aggredendo in primo luogo i fondi agricoli dedicati agli orti, ai frutteti e ai vigneti ancora presenti in molte aree urbane prossime ai corsi d’acqua, alle cinte murarie, sui bassi rilievi o negli avvallamenti più depressi.

Roma: orti al Pigneto intorno al 1960

Roma: orti al Pigneto intorno al 1960

La zonizzazione estrema delle attività economiche, residenziali e direzionali in aree specifiche e diversificate ha spinto la coltivazione orticola fuori dalla città, generando dipendenza alimentare da regioni lontane non integrate col sistema urbano, modificando l’assetto e l’uso dei suoli. Il processo ha provocato gravi ripercussioni sulla mobilità generale legata all’approvvigionamento alimentare, sulla qualità degli alimenti, sulla salute psico-fisica dei residenti. Nella maggior parte dei casi si è così modificata irreversibilmente l’immagine autentica e caratteristica degli agglomerati urbani italiani.

Un caso a parte è rappresentato dalla edificazione, tra il 1970 e il 1975, del Villaggio Matteotti a Terni, progetto dell’architetto Giancarlo De Carlo.

Iniziatore della progettazione partecipata nel nostro Paese, realizzò 800 abitazioni articolate in 45 tipologie costruttive diverse ma integrate da un medesimo linguaggio architettonico.

Terni: Villaggio Matteotti

Terni: Villaggio Matteotti

Terni: Villaggio Matteotti

Terni: Villaggio Matteotti

Terni: Villaggio Matteotti

Terni: Villaggio Matteotti

Terni: Villaggio Matteotti

Terni: Villaggio Matteotti

Questi sono gli elementi che rendono esemplare una realtà urbana che, offrendo qualità architettonica agli edifici e respiro agli spazi verdi integra partecipazione e progettazione ‘tentativa’, così la definiva Giancarlo De Carlo.

Il Villaggio Matteotti è un quartiere completamente progettato per rispondere ai bisogni e alle richieste degli utenti raccolte nel corso di numerosi incontri, seminari e verifiche. La rete di connessione principale è costituita da numerosi percorsi pedonali che si diramano a vari livelli nella trama degli edifici. Le strade carrabili sono ridotte all’osso mentre le terrazze, che ospitano orti e giardini, si inseriscono in un sistema del verde che predomina lo spazio. La complessità dell’organismo consentì di rivalutare la cultura materiale dei residenti, genuinamente contadina, in una soluzione attuale che non trascende la modernità.

Così Renzo Piano, anche lui genovese come Giancarlo De Carlo, definisce l’opera: ‘Il Villaggio Matteotti ha il merito di riuscire a far volare il cemento con i suoi ponti e i suoi giardini e di sconvolgere il ritmo compositivo esplodendolo in mille frammenti. Complesso, ricco, ma così frugale e organico.’

Il Villaggio Matteotti rappresenta però una esperienza significativa ma purtroppo unica nel suo genere, una potenzialità rimasta inesplorata, inascoltata.

‘Le città stesse subiscono una profonda metamorfosi: diventano luoghi asettici, efficienti, veloci. E soprattutto ogni area diviene edificabile. Il valore della terra nell’area urbana sale alle stelle, e anche gli spazi abbandonati o non utilizzati hanno un prezzo, anzi diventano tessere fondamentali nel mercato immobiliare; possono infatti essere scambiati con altre aree, e il loro valore viene ridefinito su parametri imposti dal mercato. Gli urbanisti incoraggiano “la città come metropoli”, produttiva e ricca, altamente specializzata e ben distinta dalla campagna. Tutti coloro che si ritrovano in difficoltà economica nel far fronte a questi cambiamenti cercano di sopravvivere, e tra questi sono molti quelli che clandestinamente si ritagliano abusivamente un pezzo di terra da coltivare. Nasce così il fenomeno dell’abusivismo, con orti che si sviluppano lungo i canali di scolo o gli argini dei fiumi, o in altri posti decisamente improbabili. Sono luoghi insani, poco piacevoli, inospitali a tal punto che molte persone che hanno desiderato un orto vi rinunciano.

Roma: orti sulla via Appia Nuova

Roma: orti sulla via Appia Nuova

Ma nonostante la condizione “abusiva e clandestina” il fenomeno resiste. Da uno studio effettuato da Italia Nostra , nel 1982, emerge che a Milano gli “orticelli” coprono una superficie di oltre 800 ettari, hanno mediamente una dimensione tra gli 80 e i 120 metri quadrati, impegnano il coltivatore circa dieci ore alla settimana e producono ben il 25 per cento dell’orticoltura del comprensorio milanese, contro il 60 per cento dell’orticoltura commerciale. Vengono coltivati soprattutto da cinquantenni che svolgono la professione di operaio, seguiti dal pensionato, dall’impiegato e dallo studente. Sempre negli anni Ottanta, a Torino, gli orti urbani interessano 146 ettari. Analoghe situazioni si riscontrano a Bologna, Firenze, Roma, e in altre città dove gli orti abusivi si diffondono man mano che la popolazione cresce. Un’ascesa del numero di orti inarrestabile.

E’ proprio in quel periodo che emerge con chiarezza la necessità di una regolamentazione che governi il fenomeno. Le amministrazioni delle città continuano ad avere in mente un modello urbanistico avveniristico, utile esclusivamente agli interessi economici, e rischiano di ritrovarsi impreparate e di non riuscire a contenere l’abusivismo spontaneo. Compaiono le prime norme relative all’assegnazione delle aree orticole ai cittadini interessati. Il primo regolamento italiano di orti sociali comunali viene stipulato a Modena, nel 1980. Ma, nonostante questo, le varie amministrazioni locali non intendono riconoscere l’orto come bisogno dei cittadini; spinte anche dalla necessità di limitare le richieste, diffondono l’idea che l’orto sia un interesse legato ai pensionati o alle persone che hanno redditi minimi. I bandi sono in genere riservati a chi ha più di sessant’anni, e vengono assegnati appezzamenti su terreni comunali suburbani, non edificabili o a destinazione verde.
All’inizio i contratti sono di breve durata, impediscono ai familiari di aiutare, se non saltuariamente, e c’è un rigido controllo. Sembrano quasi più zoo che orti.
Per fortuna gli anni passano, e orti cittadini vengono realizzati in molte città, con altri criteri. Gli orti che il Comune di Milano mette a disposizione dei più anziani sono quattrocento. Ma sempre a Milano ci sono anche il Parco Nord e il Bosco in Città, enti pubblici che offrono centinaia di orti con contenitori per attrezzi e attacchi per l’acqua, anche alle famiglie. A Bologna gli orti comunali sono circa 2.700, aggregati in una ventina di aree diverse, aperti a più ampie categorie di utenti.’ (13)

1 Omero Odissea, traduzione di Rosa Calzecchi Onesti, Einaudi, Milano 1963
2 Pierre Grimal ‘I giardini di Roma antica’ Garzanti, Milano 2000
3 Pierre Grimal ‘I giardini di Roma antica’ Garzanti, Milano 2000
4 Isidori Hispalensis di Siviglia Etymologiarum libri, 10,1
5 Franco Cardini, M.Miglio ‘Nostalgia del paradiso, il giardino medievale’ Laterza, Bari 2002
6 Aurelio Manzi ‘Gli orti medievali in Abruzzo’ Talea Edizioni, Atessa 2008
7 Attilio Mordini ‘Giardini d’Occidente e d’Oriente’ Edizioni Settimo Sigillo Roma 2008
8 Birgit Wahamann ‘Orti individuali e Schrebergarten’ in M. Mosser, G. Teyssot ‘Architettura dei giardini d’Occidente’ Electa, Milano 1999
9 M.C. Zerbi “Coltiviamo la città”: dagli orti operai ai giardini condivisi in AA.VV. Rinverdiamo la città. Parchi, orti e giardini Giappicchelli Editore, Torino 2013
10 Giuseppe Pinto ‘Roma, l’Agro Romano.I centri abitabili’ Studio estratto dal Bollettino della Commissione Generale d’Igiene Roma, Salvucci 1882
11 V. Vercelloni ‘ Il giardino a Milano’, Edizioni L’Archivolto, Milano 1986
12 M.C. Zerbi “Coltiviamo la città”: dagli orti operai ai giardini condivisi in AA.VV. Rinverdiamo la città. Parchi, orti e giardini Giappicchelli Editore, Torino 2013
13 Mariella Bussolati ‘L’orto diffuso’ Orme Edizioni, Roma 2012

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